28.10.12

Un pane dolce del Sabato per i bambini di Terezín



Il pane di cui vi parlo oggi ha un sapore speciale, che va ricercato nei nodi dell’ininterrotto filo di Arianna stretti nel tempo dagli Ebrei che, oltre dieci secoli fa, presero dimora nei territori dell’attuale Repubblica Ceca.
Una leggenda molto antica narra che, dove oggi sorge la città di Praga, già all’epoca del Secondo Tempio di Gerusalemme era insediata una comunità giudea; quell’insediamento fu poi raso al suolo e gli Ebrei furono cacciati.
La principessa Libuše, che aveva già profetizzato la nascita di Praga intorno a una soglia (sulla Moldava, sotto Petřín; // un falegname fabbrichi con il figlio una soglia [prah] // e per questa soglia chiamate la città Praga [Praha]), nell'anno 730 del calendario cristiano profetizzò che il leggendario principe ceco Hostivit, suo nipote, avrebbe un giorno offerto rifugio al
piccolo popolo straniero, cacciato e oppresso, adorante un solo dio, perché su quella terra avrebbe apportato grande benedizione.
Un secolo dopo, la profezia si avverò: quando Hostivìt divenne re e si presentarono gli Ebrei a chiedergli asilo, la nonna profetessa gli apparve in sogno rammentandogli il da farsi, ed egli, consultato il suo popolo, li accolse benevolmente nel suo regno.
In Boemia, una piccola comunità giudaica, costituita principalmente da commercianti di origini bizantine, si stanziò già nel X secolo, ma fu a partire dal secolo successivo che numerosissimi Ebrei, in fuga dall’oppressione e dalle crociate che imperversavano nelle terre occidentali, trovarono qui la loro patria.
La cosiddetta giudeofobia, che era presente in tutta Europa (e descriveva principalmente un'antipatia nei confronti degli Ebrei, percepiti come una minaccia per le attività imprenditoriali dei cittadini più ricchi), sembrava in Europa centro-orientale meno pronunciata che altrove.

Nei territori boemi, in particolare, gli Ebrei vivevano in un rapporto di confronto pacifico e di cooperazione feconda con tutti gli altri abitanti. Sebbene, fin dal XIII secolo, fosse loro concesso di parlare la loro lingua e vivere le loro tradizioni nei limiti di un ghetto, le mura che circondavano il loro quartiere furono edificate allo scopo di difenderli dagli attacchi esterni, non di isolarli dal resto della popolazione.
Per la sua collocazione centrale, la comunità ebraica praghese fu, fin dal basso Medioevo, il centro amministrativo e culturale di tutte le altre piccole comunità ebraiche della Boemia.
Grazie alle loro grandi capacità mercantili e finanziarie, gli Ebrei di Praga goderono da subito di molti privilegi, tra i quali quelli di abitare nelle aree cittadine più vantaggiose dal punto di vista commerciale e di lavorare a corte come servi del tesoro reale.

Molti furono anche eccellenti rabbini, studiosi e filosofi dediti all'astronomia, alla matematica, alla storia, alla letteratura, al cabalismo e all'alchimia; la magica Praga di Rodolfo II, del Rabbi Löw e del suo leggendario Golem divenne di fatto, agli inizi del XVII secolo, la capitale degli Ebrei in Europa. 
La successiva diffusione dell’Illuminismo rappresentò, per i 68.000 abitanti giudei della Boemia, una sfida e insieme una possibilità di emancipazione. L’antico quartiere ebraico, con le sue Sinagoghe e il vecchio cimitero, prese il nome di Josefov proprio in onore dell’imperatore Giuseppe II, che abolì le misure discriminatorie nei confronti degli Ebrei e aprì loro la strada all’educazione scolastica e alla carriera pubblica e militare.
Nel XIX secolo, a dispetto di un antisemitismo che cominciava ad avere un ruolo crescente nella sua ideologia, moltissimi Ebrei divennero esponenti di un'a
giata classe media cittadina, e la loro tendenza a identificarsi, nell’età del nazionalismo liberale, con il patriottismo e le aspirazioni delle nazioni delle quali si sentivano parte integrante, era sempre più diffusa.
Eppure la dolorosa storia recente, con la sua tragica ironia, ci dice che il 15 marzo del 1939 le truppe tedesche marciarono su Praga, e ogni resistenza da parte della comunità ebraica fu irrealizzabile. 
Quasi 50.000 Ebrei boemi furono deportati nel campo di concentramento di Terezín, a 60 km da Praga. Dei 15.000 bambini e ragazzi al di sotto dei quindici anni che furono lì imprigionati, meno di 100 sopravvissero al genocidio nazista.
Grazie alla collaborazione clandestina di alcuni educatori confinati nel campo, tutti i giovanissimi Ebrei deportati poterono continuare il loro percorso educativo attraverso delle lezioni quotidiane segrete: i ragazzini più grandi si occupavano di Vedem, una rivista illustrata dedicata alla poesia, ai dialoghi e alle recensioni letterarie, mentre i bambini più piccoli erano spronati a disegnare dalla maestra Friedl Dicker-Brandeis.
Prima di essere deportata ad Auschwitz, la Dicker-Brandeis nascose tutti i disegni dei suoi bimbi in due valige che scamparono miracolosamente alle ispezioni naziste. Dieci anni dopo il termine della guerra, quella preziosissima collezione fu ritrovata, e oggi molti di quei disegni sono esposti, insieme a qualche decina di poesie, al Museo Ebraico di Praga.
Di tali documenti, che furono oggetto di affettuoso studio da parte di psicologi, letterati ed artisti, traspare una maturità di pensiero straordinaria, la straziante consapevolezza di un destino inesorabile, ma soprattutto l'insopprimibile anelito alla vita di quelle giovanissime vittime. Nella maggior parte dei versi e dei disegni, già di per sé toccanti per i motivi ispiratori e la vicenda umana che sottintendono, sono presenti valori poetici autentici, che stupiscono per l’altissimo livello di forma e linguaggio e l'impressionante capacità espressiva.
Una ventina di giorni fa, questa struggente documentazione ha impressionato e ispirato anche me.
Il pane dolce dello Shabbat degli Ebrei praghesi io lo immagino tanto semplice e buono, preparato con tre ingredienti che sono alla base della maggior parte dei piatti dolci della tradizione boema: le mele, il miele e i semi di papavero.
È ai bambini di Terezín che dedico il mio pane; ai bambini che non hanno più potuto mangiare quello impastato delle loro mamme e a quelli che, grazie a Dio, oggi possono ancora mangiarlo, insieme alle loro famiglie.




PANE DOLCE DELLO SHABBAT
con mele, miele e semi di papavero
(dosi per una treccia da circa 10 porzioni)



per l'impasto

Farina 0 (io Molino Chiavazza), 250g
Zucchero semolato, 50g
Sale, 5 g
 Lievito di birra, 10g
Acqua tiepida, 62 ml
Olio extra vergine d'oliva, 62 ml
un uovo medio (60-62g con il guscio)


per il ripieno

due mele piccole, dolci e sode
due cucchiai di miele di millefiori


per la copertura

un piccolo tuorlo d'uovo
un cucchiaio d'acqua
 una manciata di semi di papavero



Preparare l'impasto del pane dolce: in una terrina mischiare la farina setacciata, il sale e lo zucchero.
Sciogliere il lievito nell'acqua tiepida insieme a un cucchiaino di zucchero e far riposare una decina di minuti fino a far formare una schiuma.
Addizionare il lievito alle polveri e cominciare ad impastare. Versare l'olio e infine incorporare l'uovo.
Lavorare a mano (o con l'aiuto dell'apposita frusta elettrica) fino a che l'impasto si stacchi perfettamente dalla ciotola, lasciandola pulita.
Lasciar lievitare per almeno 2 ore. 



Preparare il ripieno del pane dolce: mondare la mela, privarla del suo torsolo e tagliarla a piccoli cubetti. 
In un padellino antiaderente, scaldare leggermente il miele (io ho utilizzato un med květový che ho portato con me da Praga) e far saltare i cubetti di mela per un paio di minuti a fuoco vivace.




Preparare la treccia di pane dolce: riprendere l'impasto lievitato, sgonfiarlo e tagliarlo in tre parti.
Su un piano infarinato, stendere ognuna delle parti in modo che siano lunghe circa 35 cm e larghe 15 cm. Distribuire i cubetti di mela al miele su ciascuna delle tre strisce di impasto, quindi arrotolare ognuna sulla lunghezza, in modo da ottenere tre lungi "salsicciotti".

  
Unire da un capo i tre rotoli ottenuti e cominciare ad intrecciare (io ho fatto del mio meglio... chiedo scusa, ma la treccia non l'ho mai saputa fare nemmeno alle bambole!).
Adagiare la treccia su una placca da forno unta di olio e lasciare lievitare ancora 2 ore.
Sbattere il tuorlo d'uovo con un cucchiaio di acqua e spennellarlo sulla superficie, quindi spolverare di semi di papavero.
Infornare in forno statico già caldo a 200°C e cuocere per circa 15-20 minuti.
Servire il pane dolce dello Shabbat con un buon tè; nel mio caso profumato all'arancia e zenzero... finito nella mia valigia, anche lui!




Con questa ricetta di Eleonora partecipo all'MTChallenge di Ottobre




... e se vi state chiedendo come mai ho voluto raccontarvi proprio degli Ebrei boemi, la risposta non è perché venti giorni fa sono stata in viaggio a Praga, bensì perché ho finalmente avuto l'immensa fortuna di toccare con mano ciò che, in cinque anni di appassionati studi in Lingue e Culture dell'Europa Orientale, una grande persona mi ha insegnato.
Grazie, dal profondo del cuore, a tutte le persone che hanno voluto per me la realizzazione di questo pane dolce dello Shabbat.


7 commenti:

  1. Ho visto tantissime versioni in questi giorni.. una con un ripieno più buono dell'altro! Stupendo anche il tuo.. baci e buona domenica :-)

    RispondiElimina
  2. Interessante la storia e sicuramente molto buono il pane proveremo a farlo!

    RispondiElimina
  3. In questi giorni molte hanno pubblicato ricette del pane dello shabbat, ma nessuno ha parlato come te della storia ebraica e delle tristi peripezie che anche a Praga hanno caratterizzato la storia degli ebrei.
    complimenti oer il pane e oer tutto quello che hai scritto!
    Un abbraccio

    RispondiElimina
  4. Ho portato mia figlia a Praga, qualche anno fa: per lei era il primo vero impatto con il mondo ebraico e la scelta di questa città non era stata casuale: nulla di troppo traumatico per una bambina della sua età, ma una memoria viva, palpitante, attualizzata nel ricordo del passato e nel perpetuarsi di una tradizione rinnovata con un senso di appartenenza forte ed orgoglioso.
    i disegni dei bambini di Terezin la colpirono più di ogni cosa: per quanto non riuscisse a comprendere il dolore dell'Olocausto (il pugno nello stomaco è arrivato l'estate scorsa, ad Auschwitz), non c'erano comunque barriere culturali o di età, fra lei e qui disegni. Che hanno la forza dirompente dell'espressione dei bambini, senza filtro alcuno- e che agli adulti lasciano segni ancora più profondi.
    Grazie per averli ricordati.
    ale

    RispondiElimina
  5. commento qui la ricetta, per ovvi motivi.
    Sull'intreccio, chapeau: sembri una parrucchiera provetta :-), altro che"la treccia neanche alle bambole"
    Idem per il ripieno, con gusti bene amalgamati e aderenti al tema. Brava!

    RispondiElimina
  6. Assolutamente commossa dal tuo post, dal ricordo, dai tuoi pani perfetti, dal ripieno pensato e ben strutturato...in mezzo a tutta la tristezza che rappresenta, non mi resta che dirti Grazie!

    RispondiElimina
  7. Uno dei più belli che ho visto!
    Complimenti!! :)

    RispondiElimina